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Chi ha paura del tappo a vite?

  • Chi ha paura del tappo a vite?


Quella delle tappature utilizzate sul vino è una questione spinosa, che ciclicamente si ripropone ai produttori e agli esercenti così come ai consumatori. Ponendomi tra questi ultimi mi sono posto alcuni ragionamenti in merito e sapete perché? Perché guarda caso nelle ultime stappature di bottiglie con tappo in sughero ho incontrato qualche sfortuna di troppo. E va da sé che uno che spende dei soldi per il vino, due pensate sopra ce le fa, perché se avere un tappo a vite mi potrebbe consentire di trovare un vino esente da difetti “aggiunti” dall’evoluzione in bottiglia, allora ben venga!

Devo premettere che io appartengo a quella piccolissima percentuale di consumatori che predilige i vini con qualche anno sulle spalle, capaci di regalare sviluppi aromatici e gustativi spesso molto interessanti, non fosse altro per il fascino di andare a scoprire cosa ha offerto in termini di longevità ed espressione una determinata annata.

Per contro il grosso del vino abitualmente consumato nel mondo è quello di annata, e su quello incide in maniera minore il contatto vino/tappo, ma resta il problema. Se un sughero è affetto da muffe o funghi (armillaria mellea in primis) è capace comunque di rovinare il vino con cui va in contatto in pochissimo tempo, anche in dipendenza della sua permeabilità e del numero di fessure presenti nel suo corpo.

Ma quali sono le alternative più comuni al tappo in sughero? Eccole:

  •  tappi sintetici: poco attraente per l’aspetto “plasticoso”, rappresentano una alternativa spesso utilizzata su vini da bersi in gioventù. In questo campo il mercato oggi offre molte alternative, a partire anche da fibre di origine naturale (Nomacorc Bio) e offre il vantaggio di buona uniformità sul prodotto, discreta tenuta elastica nel tempo,  buon isolamento dall’aria. Da dire che sono in continuo sviluppo tecnologie per produrre tappi con grado di permeabilità all’aria predefinito, per andare incontro alle esigenze evolutive dei diversi vini. Ne ho incontrato uno, di tipi altre volte rilevati su birre artigianali, su una bottiglia borgognona niente male del Domaine Ponsot (vedi foto).
  • tappi in agglomerato di sughero, (esempio classico il DIAM), che sfruttano il sughero ridotto in trucioli o polvere come materiale di partenza, unito da sostanze di sintesi. Qui la tecnologia, come detto sopra, è all’avanguardia nell’offrire soluzioni con diverse elasticità, durata, permeabilità, per garantire la migliore evoluzione per il vino confezionato. Per questi come per i sintetici, i problemi rilevati dai produttori constano prevalentemente in odori estranei, e tendenza ad esaltare certe componenti del vino (tannino, note vegetali, ecc.)
  • tappi in vetro: eleganti e raffinati, non consentono l’utilizzo del classico cavatappi ma basta rimuovere la capsula metallica ed estrarre il tappo facendo leva con le dita. Mantiene fascino e sobrietà, e assicura una tenuta perfetta per via della guarnizione in materiale plastico (no PVC nè silicone), neutra e durevole. Non sembra dare controindicazioni, ma per contro bisogna disporre di una linea di tappatura dedicata, e ha un costo pari a quello di sugheri di fascia alta.
  • tappi a vite o screw-cap. Da anni utilizzati largamente in Germania e paesi dell’est Europa, come del resto nel nuovo mondo (sud-America, Australia, Nuova Zelanda). Si apre semplicemente svitando, come per una bottiglia d’olio, la tenuta è garantita da un sottile strato plastico, e ne esistono anche versioni “membrana”, dotate di una misurata permeabilità all’aria. Non rilascia sostanze nel vino, non lascia passare aria (a meno dell’uso di membrane), è di medio-basso costo. Per contro i tappi in alluminio sono vengono da risorse non rinnovabili, ma certamente riciclabili. Per contro è necessario avere una bottiglia con collo sagomato appositamente, con imbocco a vite per alloggiare il tappo.
  • tappi a corona. Sono i classici tappi delle bottiglie di birra, anche se ci dimentichiamo che trattengono praticamente tutte le bollicine metodo classico (salvo le rare versioni che affinano in sughero) compresi i migliori Champagne del mondo, fino al momento della sboccatura, che può avvenire anche dopo 10 anni e più. Garantiscono tenuta assoluta grazie anche in questo caso a un sottile strato di plastica, che rappresenta in pratica il “sigillante” di tutti e tre gli ultimi esempi. Sono economici al massimo, e forse poco poetici, ma efficacissimi. Celebre il produttore biodinamico alsaziano Pierre Frick che li usa per la quasi totalità della sua produzione. Per contro al tappo a vite, non ha il vantaggio di essere facilmente richiudibile, deformandosi irreversibilmente a seguito della stappatura.

Il tappo in sughero vanta dalla sua parte la storia, il fascino del gesto della stappatura, se vogliamo anche una sorta di “suspance” nel momento in cui si annusa il tappo e si assaggia il vino per averne un verdetto sulla bontà, con massima soddisfazione quando magari un vino di oltre 30 anni risulta assolutamente integro e ben conservato, ma spesso senza renderci conto che si tratta solo di una fortunatissima scelta del destino. E inoltre tale fascino crolla completamente quando spendiamo fior di quattrini per una bottiglia speciale, e nel momento cruciale della stappatura (magari in una situazione speciale) scopriamo essere compromessa.

Ci sono produttori come l’altoatesino Franz Haas che da anni spingono sull’uso del tappo a vite, sperimentandolo in confronto con sughero (eseguendo due imbottigliamenti paralleli per ogni annata) e rilevando come la maggior parte delle bottiglie con tappo in sughero presenti delle deviazioni, e non solo difetti, ma variazioni organolettiche che si distanziano dal prodotto originario, che invece in bottiglie con tappo a vite si mantengono fedeli e soprattutto omogenee tra le diverse bottiglie.

Se il sughero si avvale del fascino della naturalità, se ne porta dietro anche le problematiche, che al netto delle infezioni da TCA (tri-cloro-anisolo, la molecola principale responsabile del sentore di tappo) sono dovute alla sua naturale conformazione, fatta si porosità, fessure, differenze di densità e permeabilità, che possono spesso pregiudicare il corso evolutivo del vino. A questo riguardo le soluzioni in campo sono le più disparate, ma finora mai risolutive.

Al confronto organolettico sempre più sono le esperienze e gli studi a riguardo, ed ogni volta, tra tappatura sughero e tappatura a vite è quest’ultima ad uscirne a testa alta. Io posso portare la mia esperienza di bevitore e pensare all’ultima degustazione organizzata, con 17 etichette differenti di pinot nero, da tutto il mondo. Di queste una (italiana) presentava difetto di tappo, nettissimo, una molto vecchia (1983, di Borgogna, aveva difetto di tappo e parziale ossidazione), una di Borgogna (dell’ottima annata 2005), di cui disponevo due campioni, presentava su uno un’evoluzione spinta sull’ossidazione, sull’altra un vino apparentemente più integro, ma con note di TCA.

Per contro il vino di Pierre Frick del 2006 era ancora perfetto, evoluto e segnato anche dallo stile del produttore, ma assolutamente integro, grazie al tappo a corona, ed i due vini del nuovo mondo, uno del Canada e d uno della Nuova Zelanda, entrambi 2013 con screw-cap, mostravano un profilo assolutamente fresco e definito, assolutamente esente da difetti (nemmeno riduzioni). E questo ha giovato particolarmente a farli spiccare nella selezione, valorizzando il lavoro fatto in cantina.

Non ultimo pochi giorni fa degli amici miei ospiti hanno portato un bel Borgogna bianco 2014 di un produttore rinomato, e che tappatura aveva? Un bello screw-cap! E se realtà del genere iniziano a lavorare a questo riguardo bisogna stare in orecchio, aggiornarsi e darsi da fare, sia a livello di ristorazione ed enoteche che di media, per comunicare che la qualità del vino va oltre all’estetica del tappo, o del gesto per estrarlo, e che forse si può rinunciare al fascino del cavatappi per la certezza di un prodotto buono e godibile come ci aspettiamo.

E per quanto riguarda i lunghi invecchiamenti, specie sui grandi vini rossi, con tannini da digerire e famigerata ossigenazione graduale? Attendiamo speranzosi gli esiti di chi coraggiosamente sperimenta. E nel frattempo prepariamoci all’idea, e magari un giorno avremo pure Barolo e Brunello con tappo a vite, senza scandalizzare nessuno.