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Il pinot nero di Dürer

  • Il pinot nero di Dürer

Ricordi quella volta che sei arrivato a casa mia inaspettatamente? Mi hai chiamato al cellulare quando già eri sotto al mio balcone dicendomi: “Se faccio un salto da te, acqua ne hai?“.
Ed io ridendo per quella domanda bizzarra ti ho risposto: “Passa pure, ho un bicchiere di acqua e anche un bicchiere di vino!“.
Stavo per cenare. Avevo nel piatto dell’arrosto fatto da mia madre, quello che sa di pranzo della domenica, ma che io avevo scongelato di giovedì sera. Te lo confesso, ogni tanto mia mamma da lontano riesce a soccorrermi con le sue vaschette di alluminio monoporzione; le conservo con cura in freezer per affrontare momenti di sconforto serale dovuti alla vista del frigo completamente a secco.
(Per la cronaca, sei stato fortunato, perché le sue monoporzioni sono in realtà dosi per due).

Abbiamo aperto un pinot nero, se ricordi bene, e ci fece più compagnia di quanto potessimo immaginare. Vigneti delle Dolomiti IGT di Pojer e Sandri, cantina della Valle di Cembra.
Il suo rosso rubino trasparente, vivo, perfettamente a fuoco e la sua discreta complessità di profumi fecero ogni tanto divagare i nostri discorsi. Così, a mano a mano che le nostre chiacchiere si facevano più fitte, quel pinot nero ci faceva da degno sottofondo: da intense e fresche note di frutti di bosco a più lievi profumi di violetta con accenti di rosa, per poi spaziare fino ad un intrigante sentore vegetale di sottobosco e foglia di pomodoro. Per quanto non avesse una spiccata acidità ed elevati tannini, ci convinse per equilibrio, coerenza e per la gradevole scia pulita che lasciava in bocca.
L’etichetta della bottiglia raffigurava Lo zampognaro di Dürer, artista che alla fine del ‘400 ha attraversato e raffigurato nei suoi acquerelli la Valle di Cembra nel corso del suo primo viaggio in Italia alla volta di Venezia.
Questa scelta comunicativa fatta negli anni ‘70 continua a piacermi, perché non posso negare di riconoscere nel vino e nell’arte un intrinseco scopo di testimonianza di quello che siamo, del gusto che perseguiamo e dei valori che custodiamo in un dato momento.

Quel vino mi ha fatto riflettere nei giorni successivi. Mi ha fatto immaginare il percorso di Dürer da Norimberga fino in Italia, mi ha fatto scoprire la storia di un viaggio condotto non per ragioni di committenza come si era soliti fare a quel tempo, ma per migliorarsi e arricchire la propria arte.

Così quella bevuta imprevista si è trasformata in pretesto per approfondire e per trascorrere qualche giorno direttamente sul campo, proprio a Cembra, sai? Meta sicuramente non tra le più note del Trentino, ma per questo luogo tranquillo e senza fronzoli.
Colline e arditi vigneti terrazzati su pendii soleggiati caratterizzano questa zona, dove la natura e’ stata in parte addomesticata secondo le esigenze dell’uomo.
Ho avuto l’impressione che in questa valle sulla sponda sinistra dell’Adige l’attaccamento alla terra sia particolarmente profondo, se consideri che l’economia territoriale ruota attorno all’estrazione del porfidoe alla viticoltura, seguita dalla coltivazione di piccoli frutti (more, lamponi, fragole).
Il tutto crea un insieme di scorci suggestivi e immagini contrastanti, che vanno da vigneti che sembrano ricamati con rigore a cave del cosiddetto oro rosso che paiono ferite e che ricordano le ginocchia sbucciate di un bambino, a giovani agricoltori che vendono cestini di lamponi in sagre di paese.

Durante quelle giornate estive in Valle di Cembra ho percorso tratti del Dürerweg (sentiero del Dürer) e mentre camminavo, ho pensato a quanto quel pinot nero era riuscito a farmi muovere. Ho ricordato la sua immediatezza e bevibilità, percependoli come qualcosa di rassicurante.
Proprio come te, che piombi a casa mia un giovedì sera qualunque, chiedendo un bicchiere d’acqua e ti mostri disponibile a condividere dell’arrosto scongelato.