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Gli Apostoli del Sangiovese di Romagna ovvero “Le dodici sottozone”

  • Gli Apostoli del Sangiovese di Romagna ovvero “Le dodici sottozone”

Le valli romagnole, una a fianco all’altra, con le argille che cambiano colore e caratteristiche disegnano la geografia variegata dei suoli romagnoli, terra sempre descritta semplicemente scandendo la successione delle piccole città messe in fila sulla Via Emilia e che ora, invece, presenta tante sfaccettature,  tessere di diversi colori e sfumature, dentro un unico grande mosaico. 

Il sangiovese è un vitigno che ben si presta alle differenti espressioni, fedele traduttore di terreni e climi, fuoriclasse del dettaglio, generoso in bocca ed, in genere, discreto anche al naso. Si proceda allora alla formazione di un nuovo linguaggio che definisca ogni carattere, ogni sfumatura, del Romagna Sangiovese, l’identità della Romagna in ogni sua terra.

Il Sangiovese è stato il primo vino romagnolo ad essere insignito, nel 1967, della DOC, anche se il disciplinare è stato oggetto di una profonda rivisitazione nel 2011 con l’introduzione della nuova denominazione di origine controllata dei vini “Romagna” che ha variato la storica Doc Sangiovese in “Romagna Sangiovese” (85% min. di sangiovese che sale al 95% per le sottozone).

Degustazione del Sangiovese per zone e terreni

Preparazione alla degustazione.

Obiettivo: la raccolta delle diverse sfumature per ogni sottozona. Si tenga conto:

  • Del terreno e dello stile di produzione, spesso è ancora la mano del produttore a fare la differenza (la zonazione è ancora giovane), al netto di tutte le possibili diversità tra i Superiore ed i Riserva;
  • Inoltre le zone più collinari danno in genere vini più sottili, più freschi, distesi, caratterizzati da una trama tannica incisiva e sottile;
  • Le zone più basse offrono profili olfattivi generalmente più fruttati, un pò più caldi e un po’ meno tannici;
  • Delle caratteristiche delle sottozone e precisamente:
  1. Bertinoro: lo storico territorio dell’Albana di Romagna si è scoperto recentemente vocato anche per il Sangiovese che in questa zona risulta molto strutturato e caldo.
  1. Brisighella: i terreni ricchi di arenarie e argilla, prossimi alla vena del gesso, danno vita ad un Sangiovese di grande vivacità con note di fiori e frutta rossa ben matura.
  1. Oriolo: la sottozona è formata da terreni ricchi di sabbie gialle ed argilla. Nel primo caso nascono vini pronti e fruttati, nel secondo caso il sangiovese darà vita ad un vino strutturato e dalla grande longevità
  1. Castrocaro-Terra del Sole: come riporta lo stesso disciplinare di produzione, la cosiddetta Romagna Toscana ha risentito molto dell’influenza del Granducato, tanto che la definizione dell’area deriva più dalla storia e tradizione locale che non da una differenza sostanziale con i prodotti della limitrofa area di Oriolo.
  1. Cesena: i vini di questa terra sono sempre abbastanza equilibrati e caratterizzati da un importante aroma di frutta rossa come la ciliegia matura.
  1. Longiano: vini caldi, sapidi e di grande struttura. Se li conosci….li riconosci!
  1. Modigliana: l’austerità applicata al Romagna Sangiovese.
  1. Marzeno: lo “Spungone” romagnolo dà vita a vini dal deciso impatto di forza fruttata.
  1. Predappio: il Sangiovese di questo territorio ha sempre goduto di una nomea importante tramandata dalla tradizione popolare orale. Soprattutto dal biotipo locale ad acino allungato si ottengono vini dal fruttato molto evidente e con tannini piuttosto duri e austeri.
  1. San Vicinio: inserito nell’area in cui si esprime al massimo grado la formazione Marnoso-arenacea Romagnola, il sangiovese di questa zona fornisce vini dal grande equilibrio e dal tannino vellutato.
  1. Serra: storicamente è indicato come il territorio più vocato per il sangiovese grazie ad un clima tendenzialmente continentale e poco mitigato dalla rilevante distanza dal mare. In generale i vini possiedono delicate note floreali e un frutto fresco, esaltati da una corretta esposizione delle vigne.
  1. Meldola: di colore rosso rubino tendente al granato, al naso si presenta vinoso, intenso, caratteristico. Al palato risulta secco, pieno, armonico, leggermente tannico.

Terreno: Effetti sul vino

Il termine calcare-marnoso indica che il calcare contieneTerreni calcareo-marnosi

Una certa quantità di argilla; la marna è invece costituita da calcare ed argilla in pari quantità. Colori compatti e profondi. Profumi intensi e variegati. Buona struttura generale. Ricchezza di alcol. Bassa acidità. Qualità fine. Longevità.

Terreni calcareo-arenaceo

Calcare contenente sabbia in discreta percentuale. Vini molto equilibrati nelle componenti alcoliche e fenoliche. Profumi fini. Non sempre predisposti a lunghissimi invecchiamenti.

Terreni calcareo-argillosi

Nella maggior parte delle nostre regioni Vini di grande qualità.

Terreni marnoso-ferruginosi

Terre rosse, Vini di ottima qualità.

Terreni argillosi

Più idonei alla coltivazione di uve a bacca rossa. Pigmentazioni molto intense. Sensazioni olfattive complesse. Ricchezza d’alcol. Morbidezza. Longevità.

Terreni sabbiosi

No colore e struttura, Buona acidità fissa. No longevità (da bere freschi).Freschezza e fragranza. Terreni acidi Colori poco intensi ma vivaci. Discrete sensazioni olfattive. Buona freschezza. Leggeri di alcol. Struttura piuttosto debole.

Terreni umidi                                                       

Colore tenue, Sensazioni olfattive scarse. Molta acidità, Struttura leggera. Breve vita.

Terreni fertili

Colore tenue, Profumi leggeri e vinosi, Deboli di corpo. Breve vita.

Terreni ciottolosi e permeabili

Vini di ottima qualità ed alto titolo alcolometrico.

La storia del Sangiovese

E “Sanzves”, da sempre, simboleggia il carattere della gente di Romagna, fresca e conviviale come questo grande rosso italiano, storicamente legato ad una diatriba tra i toscani e gli stessi romagnoli.

I primi, infatti, sostengono che il sangiovese, uva dalla quale si produce sia il Chianti che il Brunello di Montalcino, sia una loro varietà autoctona “esportata” in altre regioni, compresa la Romagna, attorno al XV secolo mentre i romagnoli, a loro favore, avanzano una tesi molto suggestiva: ovvero che il vitigno sia stato piantato attorno al Monte Giove o Colle Jovis, una collina nei pressi di Santarcangelo di Romagna.

La leggenda, a tal proposito, narra che i frati cappuccini del convento che sorgeva su queste colline producevano un rosso molto apprezzato all’epoca tanto che ad un loro ospite, chiedendo il nome del vino, gli venne risposto che si chiamava Sanguis Jovis (Sangue di Giove), nome che nei secoli si tramutò in Sangiovese.

Ma la leggenda, come potrebbe essere questo racconto, si discosta di poco dalla verità storica che è emersa negli ultimi anni nei confronti del Sangiovese di Romagna che un atto notarile del 1672, nell’Archivio di Stato di Faenza, vuole già coltivato nel territorio di Casola Valsenio, nell’Appennino faentino in Romagna. Il documento, riportato alla luce dallo studioso Lucio Donati di Solarolo, è importantissimo perché cita “tre filari di Sangiovese” nel podere Fontanella di Pagnano che al tempo si trovava nel comune di Brisighella.

Beppe Sangiorgi, storico del mondo rurale romagnolo, sostiene che “Molti autorevoli studiosi ritengono genericamente l’Appennino tosco-romagnolo la culla del Sangiovese, figlio di due vitigni toscani, di cui uno “immigrato” dalla Calabria”. Combinando tale presupposto con una originaria e larga diffusione del Sangiovese nel Faentino e nell’Imolese, ho ipotizzato che la culla, nella quale il vitigno è cresciuto robusto e generoso, sia stata tra il XII e il XV secolo, il cosiddetto “periodo caldo medievale”, nel versante romagnolo di quella parte della Romagna Toscana dalla quale originano le vallate del Lamone, Senio e Santerno,  precisamente nelle vigne dei monasteri vallobrosani di S. Reparata e Crespino nei pressi di Marradi, Susinana, tra Casola e Palazzuolo e Moscheta, vicino a Firenzuola. I monaci vallombrosani erano abili viticoltori e dovevano disporre di vino rosso per le celebrazioni religiose in quanto è stato solo il Sinodo di Milano del 1565 che ha permesso l’uso del vino bianco ed inoltre la Regola di San Benedetto disponeva che in caso di malattia i monaci potevano bere un’emina (tre coppe) di vino al giorno. Secondo alcuni linguisti il Sangiovese ha assunto nell’Appennino tosco-romagnolo il nome di “Sangue dei gioghi” cioè dei monti per poi scendere in Romagna e in Toscana diversificandosi nel nome e nelle caratteristiche in quanto è un vitigno molto sensibile al terroir. Nel dialetto romagnolo la definizione originale è stata tradotta in “sangve di zov” e quindi “sangve zoves” che attraverso una contrazione e unificazione è diventato sanzves, poi italianizzato in Sangiovese e così si è sempre e solo chiamato in Romagna sia il vitigno che il vino. In Toscana invece è stato chiamato prima Sangiogheto poi Sangioeto, San Zoveto, e soprattutto Sangioveto fino a cavallo del 1900 quando, anche in tale regione, si è affermato il termine Sangiovese”.

Stefano Sommelierdellasera

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