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E’ nato prima l’Ovello o il Gallina? E tra Barolo e Barbaresco?

  • E’ nato prima l’Ovello o il Gallina? E tra Barolo e Barbaresco?

Se questo fosse il mio interrogativo sarebbe forse facile rispondere, almeno per chi è avvezzo a frequentare le Langhe e abbia approfondito nella sua esperienza i vari cru del Barbaresco. Perché proprio a queste menzioni geografiche aggiuntive appartengono Ovello, vigneti in zona temperata dal vicino fiume Tanaro, nel comune di Barbaresco, e Gallina sull’omonima collina nel comune di Neive. Vuoi perché i vigneti di Neive sono stati inclusi nella denominazione solo in un secondo tempo, vuoi perché il Gallina (nella foto a lato) presenta anche zone vitate solo dal dopoguerra, sottratte a un passato vissuto come aree boschive, ma che si è rivelato davvero performante per i vigneti, ed in particolare per il nebbiolo da Barbaresco.

Si tratta peraltro di due sottozone tra le più ampie all’interno della DOCG Barbaresco, con oltre 20 ha per l’Ovello, che raggruppa terreni nella zona più settentrionale di Barbaresco, a ridosso del fiume Tanaro e con terreni a prevalenza argillosa,  mentre sono ben 52 gli ettari della menzione geografica Gallina, di cui solo le parti meglio esposte sono coltivate a nebbiolo, in un’area piuttosto variegata, dove gli appezzamenti più ambiti sono quelli orientati a sud ed est, e su suoli di terre bianche, un mix di argille e calcare che produce vini di buon corpo ed eleganza, che non disdegnano affatto lunghi affinamenti in bottiglia.

Ma più interessante a mio avviso è un’altra diatriba storica sul nebbiolo, ovvero chi è nato prima tra Barolo e Barbaresco? Chi da poco avrà studiato per corsi da sommelier potrebbe rispondere senza esitazioni che la primogenitura spetta al Barolo, grazie all’opera di Cavour e della Marchesa Juliette Colbert in Falletti, che ebbero certamente il merito di promuovere la fama dei vini di Barolo nelle nobili corti europee a metà del 1800. Ma spesso viene associato a questi nomi, come determinante per il salto di qualità dei vini di Barolo, l’intervento dell’enologo francese Louis Oudart, personaggio alquanto controverso, da quanto si esime dalla lettura di un godibilissimo saggio, dal titolo “Louis Oudart e i vini nobili del Piemonte – Storia di un enologo francese“. Il libello è opera di Anna Riccardi Candiani, che racconta attraverso ricostruzioni bibliografiche e una precisa ricerca documentale come le prime prove dell’opera del francese in Langa lo leghino in verità alla Casa Reale e ai Conti di Castelborgo, allora proprietari del Castello di Neive e dei vigneti adiacenti. Un rapporto di consulenza come enologo ed agronomo presso i poderi e le cantine di Neive è provato da diverse epistole e documenti ufficiali, oltre che da premi ricevuti all’esposizione di Londra proprio da Louis Oudart, presentando vini provenienti da Pollenzo e Neive.

Il primo approccio dell’enologo all’Italia si riconduce alla sua attività primaria, che era quella di abile mercante di vini ancor prima che di tecnico, pur se con gli anni seppe maturare esperienza ed una certa credibilità anche in campo enologico ed agronomico. Data la sua crescente fama come vinificatore, nota in Italia grazie alla sua attività di Negoce con sede a Genova (Maison Oudart et Bruché), intercorsero rapporti con la Real Casa piemontese, per i quali si occupò di vigneti in Pollenzo. Di lì a pochi anni giunse in contatto con i Castelborgo, e fu determinante per l’ascesa qualitativa dei loro vini, realizzando vini secchi da uve nebbiolo, fino ad allora spesso imprecisi e con residuo zuccherino. Alcuni di questi vini conquistarono medaglie d’oro presso l’International Exhibition di Londra del 1862, tra questi un nebbiolo asciutto del 1858 di Neive.

Quindi resta un vuoto documentale sulla possibile collaborazione di Oudart presso le cantine di Barolo, mentre le carte cantano in favore dei nebbioli secchi di Neive, che si consacravano al pubblico internazionale grazie all’opera di enologo e “venditore” di Oudart. Peccato che questa fama non sia stata capitalizzata a dovere nei decenni seguenti, ma basta a sottolineare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la qualità ed il potenziale delle terre del Barbaresco, che poco hanno da invidiare a quelle del Barolo, entrambe in grado di regalarci vini tra i più emozionanti d’Italia, e senza presunzione possiamo affermarlo, tra i più buoni e longevi del mondo.