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QUELLA DOMENICA AL GINDAY…

  • QUELLA DOMENICA AL GINDAY…

Mi sono svegliata al suono del temporale quella mattina presto.
Tutto faceva pensare alla fine della stagione estiva: il sole non era ancora sorto, avvertivo i primi brividi lungo la schiena che mi ricordavano che il solo lenzuolo non era più sufficiente per dormire ad una temperatura per me tollerabile e avevo una stramaledetta voglia di un caffè amaro ustionante, in tazza mug.
E che vento quella mattina si abbatteva sulla Romagna.
Tuttavia, nonostante le condizioni avverse, l’idea di trascorrere una giornata al Megawatt di Milano ha vinto su ogni mia resistenza fisica e GINday è stato.

A distanza di giorni e a mente fredda posso dire che mi ha piacevolmente colpito l’atmosfera garbata, accogliente e vivace che si respirava, oltre ad un pubblico professionale ed interessato, mai fuori posto.
Ho vissuto il mio primo GINday non tanto come occasione per fare degustazioni seriali (ben 300 erano le etichette di gin a disposizione nei quasi 100 corner espositivi), ma come ennesima riprova di un distillato, che seppur nella sua storia ha vissuto alti e bassi, ha saputo reinventarsi investendo sulla creatività, sui dettagli e sulle sfumature.
Mi viene in mente una frase di Gary Regan che nel suo The Bartender’s Gin Compendium parlando di coloro che sparsi per il mondo hanno permesso di ridefinire il gin scrive “ognuno di loro ha aiutato tutti gli altri nell’industria del gin, consapevoli che qualsiasi cosa giovi a una marca giova anche alle altre marche, e che qualsiasi cosa è buona per un bar lo è per tutti i bar”.
Quella domenica al GINday ho avvertito proprio questo scopo comune.

Recente, ma non per questo meno rilevante, è anche la crescita del mercato del gin Made in Italy, fenomeno dell’ultimo decennio. Se infatti inizialmente il nostro mercato è rimasto ad osservare quello che stava mutando altrove, poi in punta di piedi alcuni imprenditori hanno fatto scelte coraggiose, incentrando o diversificando la loro produzione, a volte anche limitata, su prodotti artigianali e in grado di esprimere un savoir-faire tutto italiano connotato da un imprescindibile legame con il territorio.
Ecco allora alcuni gin italiani degustati a Milano che mi hanno incuriosito, spinto a tempestare di domande i produttori e fatto tornare col naso sul bicchiere più e più volte.

 

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GINPILZ: la chiacchierata con Bruno Pilzer è stata una delle più interessanti della giornata. La distilleria della famiglia Pilzer della Val di Cembra ha una lunga tradizione nella produzione di grappa ed acquaviti di frutta e da cinque anni ha intrapreso questa nuova avventura nel gin. Bruno mi ha spiegato che se da una parte si sente un distillatore di grappe con un buon bagaglio di esperienza, il gin per lui è ancora motivo di studio.
Il Ginpilz è potente, ha una carattere olfattivo spiccato in cui il ginepro si fonde con sentori balsamici, resinosi e di altura, erbe aromatiche e agrumi. E’ un distillato dai profumi complessi, ma non pretenzioso. Equilibrato e persistente in bocca.

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MARCONI 46: nasce dalla tradizione distillatoria della famiglia Poli di Bassano del Grappa. E’ un gin artigianale, distillato in piccoli lotti, utilizzando un alambicco a bagnomaria sottovuoto e botaniche ispirate all’altopiano di Asiago. In aggiunta ad un naso pulito e intenso, mi ha affascinato la gradualità con cui le diverse note si esprimono in bocca: in primis pino e resina, poi coriandolo, menta e una certa morbidezza regalata dall’uva moscato utilizzata sia in distillazione sia come botanica.

SABATINI GIN: risultato di una collaborazione tra la famiglia aretina Sabatini e Charles Maxwell, proprietario della Thames Distillery di Londra, il Sabatini Gin è distillato con nove botaniche tutte provenienti dalla Toscana. E’ un premium gin bilanciato e sofisticato che rispetta le regole della classica tradizione inglese, ma che risveglia alla mente i tipici profumi di lavanda, olivo, timo, finocchio selvatico e salvia della campagna toscana.

Ricordo, infine, un ultimo assaggio, forse per me uno dei più complessi della giornata e che intendo riprovare al più presto (proprio come mi succede a volte con certe canzoni che non colgo nell’immediatezza del primo ascolto e che poi si rivelano colpi da maestro).

FRED JERBIS 43: artigianale, a filiera corta, 43 botaniche di origine italiana utilizzate e una produzione limitata. Potrebbe essere definito come un gin cold compound, ma in realtà il metodo estrattivo adottato è molto più complesso. Le note al naso sono variegate e vanno dal ginepro, a sentori floreali, poi erbacei e infine freschi di menta e erbe aromatiche. Il gusto è altrettanto screziato.

Decisamente da riprovare con calma, liscio, come fosse un amaro.