0

Selosse, la determinazione di un talento. Serata di degustazione di Sommelierdellasera.

  • Selosse, la determinazione di un talento. Serata di degustazione di Sommelierdellasera.

Non fermarti a ciò che ti dicono, non fermarti a ciò che vedi, non fidarti solo di ciò che sai. Mettiti in ascolto, e abbraccia la libertà. Ascolta, libera l’immaginazione. Lo stupore ti attende là, dove tu non sai nemmeno di potere arrivare.

Champagne: una regione, sperduta nel nord della Francia, una delle zone storicamente più fredde, su un antico confine della viticoltura che oggi si sta spostando su latitudini più estreme solo a causa del riscaldamento globale. Champagne: il nome di un vino capace di affascinare al solo nominarlo, da tempo simbolo di status quo, di prestigio, bevanda di lusso. Champagne, tipologia dai mille volti, dovuti ai diversi territori di origine, con la loro classificazione di qualità in base ai comuni, per le diverse uve impiegate, per la volubilità delle annate, per le diverse scelte in cantina.

Ecco, più di tutto forse, a rendere quantomai variopinto, e per questo affascinante, il mondo dello Champagne è l’importanza del processo di produzione. Quindi non solo vigna, ma tanto, tantissimo, dipende dalle scelte di cantina, partendo dalla scelta e dall’affinamento delle basi, passando per i tempi di permanenza sui lieviti, per arrivare alla sboccatura e alla scelta dei dosaggi.

Champagne è anche un territorio viticolo che ha vissuto alterne vicende, diventato in tempi non tanto lontani una sorta di pattumiera di Parigi, con rifiuti riversati nei terreni. Oggi come in tante altre zone virtuose, la tendenza è cambiata, si è presa coscienza del valore del territorio e della necessità di preservarne la sanità. Si vanno diffondendo sempre più le pratiche agronomiche biologiche e si persegue un’agricoltura sempre più sostenibile.

Di tutto questo evolversi, sia in vigna che in cantina, va dato certamente una bella fetta di merito ad Anselme Selosse che dai primi anni ’80 guida l’azienda del padre Jacques, e con le proprie scelte, radicali e convinte, ha dato una scossa decisiva al mondo dello Champagne.

Arriva in azienda dopo gli studi enologici a Beaune, nel Lycée Viticole, palestra dei migliori talenti di Borgogna. E proprio l’impostazione borgognona è quella che da subito mette in pratica nei suoi vigneti e nella cantina di famiglia ad Avize. Potature basse, mai oltre i 60 cm da terra e rese contenutissime (circa un terzo della media regionale), con raccolta delle uve a piena maturità, selezionandole per singole parcelle.  Dal principio segue un approccio biodinamico, che poi abbandona per una viticoltura scevra da etichette, ma profondamente volta ad un rapporto intimo e rispettoso della vigna. Si fa traghettatore, attento osservatore, servo delle piante e del terroir a disposizione, per trarne uve sane e capaci di esprimere pienamente annata e provenienza. Ricerca l’identitarietà, a partire dalle uve.

In cantina la raccolta parcellare si traduce in altrettante vinificazioni ed affinamenti separati.  Le fermentazioni avvengono senza inoculi, e si sviluppano in barrique (per il 10% nuove). Ecco che torna l’approccio borgognone più vero, che prosegue nell’affinamento delle basi che sostano dagli 8 ai 12 mesi nei legni, con ripetuti batonnage volti ad “ingrassare” il vino, rimettendo in sospensione le fecce fini. Le varie etichette sono per lo più sempre assemblaggi di 3 annate (ma solo di medesimo vitigno, ad esclusione del Rosè), con circa il 55% di vino dell’annata più recente, e il saldo a favore dei vini di riserva, delle due annate precedenti. L’affinamento sur lie è lungo, almeno 30 mesi, per salire fino a 10 anni. Tutte le operazioni di remuage, poignettage e sboccatura sono effettuate manualmente, senza ausilii meccanzzati. Alla sboccatura il dosaggio è minimo (tendenzialmente da 3 a 5 grammi/litro), ed eseguito con glucosio (zucchero d’uva).

Per tornare alle vigne, oltre al nucleo storico di Avize Anselme ha nel tempo acquisito vigneti importanti in altri territori di grande pregio come i comuni Grand Cru di Mesnil, Oger, Ay, Verzy, Ambonnay, Cramant, cui si aggiunge Mareuil sur Ay, clssificato Premier Cru. Da un totale di 47 parcelle produce 12 etichette, nella quantità totale di nemmeno 60000 bottiglie l’anno.

La fama quasi leggendaria, il ruolo iconico di spartiacque “stilistico” in Champagne, oggi seguito da diversi suoi “allievi” (vedi Olivier Collin, Jerome Prevost, Michel Fallon per citarne alcuni), le ridotte quantità, la scelta di limitare le speculazioni, le quantità basse prodotte, tutti questi elementi contribuiscono a fare dei vini di Selosse dei rari gioielli dal prezzo certo non popolare. Per questo la degustazione cui abbiamo partecipato meritava attenzione e propensione all’ascolto, senza preconcetti, senza esaltazione né aspettative. Ma come sempre trovo giusto fare col vino, cercando di capirne l’origine e andandolo a degustare con i sensi e la nostra sensibilità, per incontrarslo, conoscerlo, e poi nel caso decidere, come con le persone, se è un “tipo” che ci fa piacere incontrare nuovamente o se non siamo in sintonia.

A dovere di cronaca, tutte le etichette erano di ultima sboccatura (2017), quindi considerabili particolarmente giovani per questo produttore, di cui si consiglia di attendere qualche anno per dare tempo ai vini di esprimersi ai più alti livelli.

  Initial Blanc de Blancs. La prima etichetta storica di Anselme, e subito si inquadra il suo stile, ancor prima del territorio, e sembra di avere davanti un Borgogna bianco condito di   finissime bollicine. Il naso è colpito da un bel mix di  erbe mediterranee, note iodate, e arancia amara. Col tempo si evidenzia la nota di tostatura, che torna a tratti anche al palato. Ma   lì è un’acidità decisa a spingere il vino, che vira su un finale sapido, con buona eco di agrume amaro. Bolla carezzevole, quasi in secondo piano per quanto integrata in un sorso   verticale e deciso, giocato più sulle durezze ma con un percepibile spessore.


Exquise Blanc de blancs Sec. Secondo in questa sequenza un vino particolare, con un dosaggio di ben 25 grammi litro, solo chardonnay di 2 annate recenti, affinato 3 anni sui lieviti. Un vino creato “su richiesta” di alcuni chef, per accompagnarsi a particolari preparazioni di frutta o per incontrare preparazioni dalle speziature orientali. Naso di grande finezza, di approccio più facile rispetto all’Initial, giocato in prevalenza su conchiglia, mandorla, agrume dolce di cedro e mandarino. Il sorso non marca sul dolce ma sfodera invece una bella acidità, cavalca su note agrumate dolci e sfumature floreali, con qualche deviazione su ricordi minerali. Le sensazioni di bocca rimandano ad alcuni riesling spatlese, il gioco tattile/gustativo trova punti di contatto, pur introducendo la variabile della bollicina, che dona pulizia e armonia al sorso. La sensazione è di essere davanti al vino forse meno “complesso” di Selosse (anche se aprendosi non risparmia qualche accento di spezie dolci e sbuffi tostati), ma davvero intrigante, specie per un aperitivo o appunto per abbinamenti insoliti. Spensierato e primaverile.


La Cote Faron
 Blanc de noirs d’Ay. 72 mesi sur lie, dosaggio da 3 a 6 grammi, sole 1500 bottiglie per questa bottiglia, parte delle sue sei etichette “lieux dits”. Non pulitissimo in apertura, non si vergogna di evidenti note di formaggio, poi distillato. E’ un vino spettinato e ricco di sfumature, ricorda per certi versi un bianco macerato sulle bucce, per altri un amaro. Evolve meravigliosamente nel calice, e ad ogni olfazione si incontra una nuova idea, si apre un nuovo cassetto della memoria olfattiva. Liquirizia, amaretto, confettura di cotogne, caramella d’orzo, miele, sciroppo d’acero, burro fuso, nocciola. Il sorso è some una sterzata a sinistra mentre la strada volta a destra. Il palato si scontra con una bolla spigolosa, sensazioni amaricanti nette, di mandorla amara, scorza di arancia, un graffio al palato, uno schiaffo che demolisce il castello di carte dell’olfatto. Non si lascia particolarmente apprezzare (col cibo a fianco sarebbe stata altra partita), ma sembra un quadro così voluto dall’autore, da sempre legato al desiderio di impressionare. In questa disarmonia si legge una logica, un contrasto ricco di fascino, una sfida che gli anni in bottiglia probabilmente sapranno risolvere a favore di un maggiore amalgama. Zampa felina, all’apparenza morbida ed elegante, ma dotata di artigli taglienti.



 Rosé
 (90%chardonnay di Avize, 10% Pinot Noir di Verzy e Ambonnay, 6 anni di permanenza sur lie ). Vino di assemblaggio,dove il colore tenue di buccia di cipolla ricorda la prevalenza netta   di chardonnay. Evidenza che torna al naso, con tanto agrume, note erbacee leggere, ricordi di frutta acida come ribes e uva spina. I profumi rimangono però contratti, ed anche leggermente   sporcati da una piccola riduzione. Andiamo a cercare risposte più chiare nel sorso (è lì che sono sempre, essendo il vino una bevanda) e lì arriva tutto il suo carattere da “vino” con attacco   secco (3 grammi il dosaggio), anche un sostenuto calore avvolge la bocca, note di bitter ed erbe amare in chiusura, e un susseguirsi di ricordi fumé e di distillato. Personalmente ho la   percezione del vino che in serata ha pagato maggiormente la sua giovinezza, restando compresso tanto al naso quanto al palato, pur lasciando intravedere il suo profilo, serioso, con bel     connubio tra l’eleganza e la freschezza dello chardonnay e le complessità delle uve pinot nero, che portano frutto e speziature. Già pregevole il ruolo della bolla, ricamata nel tessuto di questo   vino, e la chiusura carica di mineralità. Come un libro che leggi quando non è il momento giusto. Da riporre e riprendere quando entrambi saremo più maturi.


Substance
 Blanc de Blancs. Forse l’emblema della gamma di Selosse, realizzato con vini di riserva ottenuti con metodo Solera, poi  almeno 6 anni di affinamento sui lieviti, e dosaggio minimo, soli 3 grammi di zucchero. Il vino più esplosivo della serata, senza dubbio alcuno, ha messo tutti d’accordo. Detto ciò non si tratta di un vino ecumenico, soprattutto considerato che parliamo di Champagne, e qui tutto si trova tranne quella che può essere in linea tradizionale l’idea di Champagne. Il calice è di quelli in cui anche il più timido sommelier alle prime armi può divertirsi a trovarci di tutto, perché c’è di tutto. E’ un luna park pieno di luci e suoni, ti può affascinare, stordire, finanche spaventare. Tanta frutta gialla matura, di pesca, melone e agrumi dolci, poi dattero, miele, cera d’api, legni balsamici di sandalo, cannella e cedro, incenso e peperoncini aromatici (tipo Habanero per fare un esempio). La bocca son fuochi d’artificio, ma non quelli dello zio di turno a capodanno, sono quelli dei maestri fuochisti che illuminano a giorno il cielo e ti lasciano lì a guardare attoniti, dimenticando che davanti c’è solo luce e fumo (e in questo caso invece è “solo” vino). Il palato è irrorato di sale, succo fresco di agrumi, corre dritto, elettrico, rinfrescante e avvolgente insieme, la bolla un filo di seta che si intreccia a tutto ciò che incontra per strada, e gli aromi percepiti al naso qui prendono vita, sostanza e sapore, si materializzano in sequenza sparsa, disordinata, stupefacente, barocca, passionale. In tutto questo scapigliato gioco di piacere non perde mai l’eleganza ed il fascino. Abbacinante, amante passionale, fantasia proibita che si fa sogno, che dura il tempo di un sorso ma prolunga il piacere nel risveglio.

 

Abbiamo bevuto Champagne che esprimono nitidamente il territorio? Non mi sbilancerei in tal senso. Ma trovo anche vero che ciò che ci aspettiamo da un territorio è dato da quello che è un bagaglio di didattica e sapere che si nutrono di storia e di esperienze (spesso di altri), che tracciano una via e lasciano un segno. Ma la storia non è immutabile, la storia la scriviamo ogni giorno, così come le esperienze saranno sempre diverse per ognuno, pur sugli stessi percorsi. Quello che è innegabile è che Anselme Selosse con i suoi vini ha un po’ cambiato la storia dello/la Champagne, e forse, dopo averli assaggiati, ha anche cambiato il nostro modo di conoscere e bere Champagne. Di certo ha lasciato un ricordo, ha impressionato, come piace a lui.

Matteo Carlucci  Blogger                             

  Sommelierdellasera