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Abbinamento: fegatelli con l’alloro

  • Abbinamento: fegatelli con l’alloro

Rimanendo in tema di stagionalità ma uscendo dai confini dell’orto, dicembre e in parte gennaio sono storicamente i mesi in cui, come si dice in Romagna, si fa la “festa al maiale”. Da alcuni anni, con un gruppo di amici e colleghi, prendo parte a quello che fino ad alcuni decenni fa era un vero e proprio evento, ovvero la smettitura del maiale.

Non partecipo mai alla prima parte della “festa”, troppo forte per il mio stomaco, ma mi piace osservare e, se serve, aiutare i norcini a confezionare gli insaccati e i salumi, ammirarne i segreti, le tecniche e i movimenti pieni di rispetto (sembra un paradosso) per quella vita da poco diventata cibo, dal quale le famiglie tradizionalmente traevano sostentamento per mesi, dal grasso alle carni passando per gli scarti e le ossa con cui fare il brodo.

I lettori vegetariani a questo punto avranno già smesso di leggere ma se non lo hanno fatto li informo che il prossimo abbinamento sarà al 100% a base di verdure di stagione.

Tornando alla smettitura, la sera stessa abbiamo deciso di cucinare alla brace il fegato “con la rete” e di prepararlo con l’alloro.

Gli ingredienti sono: fegato di maiale con la rete, alloro, sale e pepe.

La preparazione è molto semplice, si taglia a piccoli pezzi il fegato, lo si accompagna all’alloro e lo si avvolge con quella che è la rete che avvolge l’intestino del maiale. Per la cottura alla brace, consiglio di farne degli spiedini, più maneggevoli da cucinare.

Il piatto: una piacevole aromaticità sprigionata dall’alloro, moderate succulenza e sapidità, una tendenza dolce che sul finale lascia un leggero retrogusto amarognolo dovuto anche alla cottura alla brace. Infine la grassezza della rete, che sciogliendosi lascia al palato una lieve untuosità, per un piatto di struttura media.

I vini: Mi sono concentrato su vini bianchi di buona aromaticità e sapidità, dal buon tenore alcolico e freschezza a equilibrare la non trascurabile grassezza della rete, e su vini rossi di medio corpo, equilibrati, con un tannino giovane e discreto che non ne pregiudicasse la morbidezza. Ho scelto, per i bianchi, un Soave Classico Vigneto du Lot – Azienda Agricola Inama (2012) e per i rossi un Dolcetto di Dogliani – Poderi di Luigi Einaudi (2010) ed un Barbera d’Asti La Luna e i Falò – Terre da Vino (2011).

L’abbinamento: L’abbinamento con il Soave (vitigno Garganega) è stato un azzardo. Per le sue caratteristiche di esile struttura e spiccata acidità il rischio che il vino venisse sopraffatto dalla piatto era quasi una certezza. Tuttavia le peculiarità di questo Soave ottenuto dai vigneti che producono l’uva di maggior concentrazione, ovvero un buon tenore alcolico, l’aromaticità e una chiusura dolce di vaniglia, si sono dignitosamente contrapposte alla succulenza e ai profumi del fegato, andando in sofferenza solamente in quelle forchettate più “grasse” dove la concentrazione di rete non lasciava proprio scampo.

Circa i rossi, il Dolcetto ha accusato la succulenza e la tendenza grassa del piatto, complice l’annata (2010), un tenore alcolico non elevato e una chiusura leggermente amara che si è sposata fin troppo bene con il retrogusto anch’esso amaro del fegato. Il Barbera, morbido, caldo, delicato e dal finale dolcemente equilibrato a bilanciare il sapore di brace, si è contrapposto perfettamente alle caratteristiche del piatto, lasciando la bocca pulita e soddisfatta.

In sintesi gli abbinamenti che ho preferito sono risultati quelli con il Soave (orgogliosamente) e il Barbera, e questi sono quelli che consiglierei. Il Dolcetto lo proverò nuovamente ma con una preparazione differente, un ragù con i fegatini ad esempio, che lasci alla pasta il compito di moderare la chiusura amaricante del fegato.

Abbiamo pasteggiato con: